Laban e la danza come espressione dell’embodiment
- Elisa Leveraro

- 13 ott 2020
- Tempo di lettura: 7 min
Rudolf Laban è stato un danzatore, coreografo e teorico. Può essere considerato uno dei padri fondatori della danza contemporanea.
La sua analisi del movimento ha posto le basi per lo sviluppo di un’arte libera dai condizionamenti della danza accademica e valorizzando le capacità creative di ciascuno individuo.

Laban credeva nell’importanza spirituale ed emozionale della danza. Egli inoltre, ha messo in luce le potenzialità educative della danza, offrendo un importante contributo alla nascita della Danza-terapia o Danza-creativa.
Rudolf Laban viaggiò molto per motivi lavorativi del padre ed ebbe la possibilità di conoscere numerose culture. Rimase in particolare affascinato dalle danze folkloristiche e rituali.
Per Laban, durante la danza il peso del corpo segue la forza di gravità; lo scheletro può essere comparato con un sistema di leve attraverso cui raggiungere distanza e direzione nello spazio; il flusso del movimento è controllato dai centri nervosi che reagiscono a stimoli interni ed esterni.
Laban chiama sforzo quegli impulsi interni da cui origina il movimento.
In “Mastery of movement” (1988) Laban afferma che il movimento debba divenire pensato:
“Molte persone non lasciano il corpo pensare, in quanto fin da bambini ci viene insegnato a reprimere la conoscenza incorporata. Ci viene detto che non sia culturalmente accettabile rilasciare le memorie incorporate o permettere al corpo di decidere, e abbiamo esercitato noi stessi a reprimere le esperienze che il nostro corpo dovrebbe fare.... per me la comunicazione attraverso la danza può essere sia artistica che personalmente trasformativa [...] Io interpreto le mie memorie incorporate nella danza: il peso del mio cuore quando un amico va via, oppure le dolci mani di mia madre che mi accarezzano."

Il pubblico non riesce a capire chiaramente cosa il ballerino voglia intendere con il proprio movimento, ma in un certo senso ne comprende la profondità e il senso, in quanto tale esperienza gli permette di rivivere sensazioni corporee legate ad emozioni e sensazioni presenti nella propria memoria, che quindi rivengono elicitate durante la visione della performance. Per esempio l’embodiment attraverso il movimento di qualcosa personalmente tragico, secondo Laban, può essere trasformato in una contrazione del torso, un movimento a spirale verso il basso e la pesantezza. Il significato della danza può derivare anche da come io arbitrariamente uso in modo differente il peso, le forme, il tempo e lo spazio.
Per Laban la conoscenza incorporata passa attraverso le transizioni, che rappresentano un movimento di connessione che si verifica perché in un modo o nell’altro, io lo faccio accadere. Un esempio di transizione che esprime una conseguenza drammatica può essere rappresentata da una completa estensione del corpo verso l’alto come se volessi toccare il cielo, seguita da un profondo collasso a terra dato da una profonda contrazione addominale. Questa decisione impulsiva avviene in un infinitesimo di secondo, ma è durante questa transizione che le sensazioni della mia memoria sono elicitate.
Ma cosa si intende esattamente con embodiment o embodied cognition?

Il temine cognizione incorporata è la traduzione italiana di Embodied cognitition (o embodiment). L’Embodied Cognition rappresenta la più grande novità nella psicologia cognitiva degli ultimi vent’anni.
Il termine Embodiment potrebbe essere tradotto con i termini “incorporamento”, o “incarnato”.
L’idea alla base di questa teoria è che gran parte dei processi cognitivi avvengano mediante sistemi di controllo del corpo, per cui ogni forma di conoscenza e cognizione sarebbe incarnata.
Il dualismo mente-corpo è stato da sempre un argomento dibattuto da un punto di vista filosofico e in particolare della filosofia della mente, ma ora sappiamo che l’esistenza di un’ interazione tra le funzioni cognitive superiori e il sistema senso-motorio è appoggiato anche dalle Neuroscienze: si pensi alla grandissima scoperta del sistema dei neuroni specchio.
In quest’ottica l’azione diventa strumento importante di conoscenza e qualunque teoria separi la mente dal corpo, risulta incompleta.

L’embodied cognition dà dunque enfasi alla percezione e all’aspetto motorio, da cui la cognizione non può essere separata: la rappresentazione mentale di oggetti comporta anche quelle istruzioni utili per interagire con l’oggetto in questione, e quindi comprende un’azione finalizzata. Questa enfasi sull’aspetto motorio e sulla rilevanza del fine ultimo dell’azione, è supportato delle evidenze neurologiche, sia dei neuroni canonici che dei neuroni specchio.
Concetto chiave dell’Embodiment è il concetto di affordance: questo termine indica che la percezione crei una copia interna dell’ambiente esterno, basato su informazioni funzionali all’azione dell’individuo, che corrispondono a caratteristiche relazionali di alto ordine (Borghi e Caruana, 2013). In altre parole, quando osserviamo o pensiamo ad un oggetto, lo vediamo in base ai suoi possibili usi e quindi la loro percezione richiama un’azione motoria. Per questo motivo, il neurone specchio si attiva anche quando semplicemente osserviamo un oggetto, poiché ne riconosciamo i possibili usi. Il concetto di Embodiment è intimamente legato alla consapevolezza corporea, ed opera a livelli di complessità differenti, più o meno espliciti, di natura percettiva e motoria.
Alla base della consapevolezza corporea si trova la capacità di propriocezione, che corrisponde a come la persona percepisce se stessa in rapporto al mondo esterno.
Come si applica questa teoria alla danza?
Nell’ambito della danza, si può definire la propriocezione come la capacità di percepire il proprio corpo in movimento, lo sforzo richiesto, e la locazione delle varie parti del corpo. La cosiddetta intelligenza del danzatore, o intelligenza cinestetica, (Gardner, 2000) è la capacità di sentire e gestire il proprio corpo, di coordinare e manipolare gli oggetti esterni per fini funzionali ed espressivi. Essa corrisponde alla capacità di comunicare attraverso il corpo, e di percepirlo attraverso le sensazioni propriocettive e il movimento cinestetico (Eddy 2016), che di fatto rappresenta un fenomeno di corporeità, di embodiment.

La grande capacità del danzatore è quella che Chiara Bassetti nella sua ricerca del 2009, definisce “riflessività-in-azione”, ovvero la capacità di “vedersi visto” mentre si danza al fine di poter valutare la propria performance ed eventualmente correggerla. Bassetti la definisce “in-azione” in quanto si tratta di un tipo di attenzione simultanea all’atto del danzare. Solitamente però, quando si danza lasciando si che le emozioni fluiscano verso l’esterno, si fa si che si verifichi quel fenomeno descritto da Goffman (2001) in cui ci si perde in ciò che si sta facendo, e quindi questa riflessività generalmente manca, mentre si è impegnati nella performance completa.
In quest’ottica, quindi, anche lo specchio perde la proprio funzione, poiché quando si è immersi nell’azione, l’immagine risultante allo specchio è un’immagine dinamica, distorta, che non corrisponde a quello che davvero vedrebbe un pubblico seduto e fermo a guardare l’aspetto completo del nostro corpo. Il ballerino quindi, durante la danza, perde la possibilità di controllarsi in modo cosciente e dovrà quindi affidarsi agli automatismi createsi nella sua memoria corporea.
“Se la ballerina si osserva allo specchio, ciò che sarà visibile alla spettatrice non sarà un corpo danzante, ma solo un corpo che guarda se stesso mentre si muove” (Bassetti, 2009).
Quello che però interessa il ballerino è proprio sapere come gli occhi di un altro vedrebbero il proprio corpo danzare. Molti coreografi o insegnanti utilizzano il video come strumento di correzione, argomento su cui mi soffermerò specificatamente successivamente.
Lo specchio deve quindi lasciare spazio al sentire, che però dipende dal grado di expertise: un danzatore professionista, possiede una sorta di memoria visiva del proprio corpo, per cui è in grado di immaginare se stesso, mentre esegue un determinato movimento, in modo consapevole rispetto alla propria qualità di movimento.
Questa consapevolezza per molti è acquisibile tramite lo specchio, ma può essere ad esempio ottenuta anche tramite la visualizzazione di un proprio video.
Bisogna però sottolineare, che accade spesso che l’allievo, nonostante si veda allo specchio, e l’insegnante gli evidenzi l’errore, non abbia comunque idea di come correggersi, ovvero che tipo di movimento dovrebbe eseguire per evitare di ripetere l’errore. E’ qui che entra in gioco, in modo rilevante, il concetto di embodiment, sia da un punto di vista della sensazione da provare, intesa come immagine da trasmettere ad un eventuale pubblico, sia dal punto di vista strettamente fisico.

Un modo per percepire infatti, se sto eseguendo correttamente un movimento, e quindi se il mio corpo è collocato nello spazio in modo corretto, è possedere una consapevole locazione del dolore muscolare. I ballerini si basano, da una parte sulle informazioni mandate dai propriocettori, per avere una consapevolezza incarnata della propria posizione; dall'altra utilizzano i nocicettori, per valutare la propria performance.
Quello che io spesso dico a lezione è: “Il dolore è amico del ballerino, è funzionale. Ascoltate il vostro corpo”.
Se, durante una lezione di danza orientale sento dolore alla fascia lombare, vuol dire che la mia postura era scorretta, e il bacino in anteroversione. Dovrò così aggiustare la mia postura per non sentire più quel dolore. Allo stesso modo, se sto eseguendo una preparazione del piede al salto, per cui passerò dalla mezza punta alla punta, sollevando le dita dal pavimento in modo rapido, la sensazione che devo immaginare è quella di spingere il pavimento verso il basso. Questa è una tecnica di proprio-visualizzazione, in cui attribuisco a un movimento, una valenza simbolica, un effetto visivo, una sensazione o una metafora.
In quest’ottica, il danzatore deve attivare in sé un’immagine virtuale identica a quella che desidera attivare nello spettatore. Esempi possono essere la sensazione in cui è una particolare parte del corpo a generare il movimento, in quanto si immagina che venga spinta o tirata da qualcosa; si immagina di disegnare una figura con una parte del corpo, o ad esempio di essere appesi ad un filo, e così via. Queste immagini, elicitano nel danzatore un’emozione, qualcosa che egli stesso ha vissuto, un’esperienza specifica che riemerge per essere mentalmente collegata a quell’azione; allo stesso modo lo spettatore osserva il movimento e percepisce quel messaggio, grazie alla funzione empatica del sistema mirror, che elicita in lui il ricordo di un sentimento, che quindi lo fa emozionare, divertire, o magari anche piangere.
E’ qui che il movimento è pensato; ritorna il tema del collegamento mente-corpo, e l’importanza delle sensazioni del corpo. La danza non viene appresa solo tramite la pura visione, perché essa è anche: messaggio, racconto, metafora, emozione...non un semplice gesto. ( E. Leveraro)
BIBLIOGRAFIA:
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